martedì 16 settembre 2025

Il periodo ipotetico in italiano


 

Il periodo ipotetico si usa per esprimere un'ipotesi e la sua conseguenza. È composto da due frasi: una frase subordinata introdotta dalla congiunzione "se", chiamata protasi, che esprime la condizione o l'ipotesi, e una frase principale, chiamata apodosi, che descrive la conseguenza di tale ipotesi.

In italiano esistono tre tipi principali di periodo ipotetico, classificati in base al grado di probabilità o realizzabilità dell'ipotesi.

 

1. Periodo ipotetico del primo tipo: la realtà

Questo tipo di periodo ipotetico esprime un'ipotesi reale, possibile o molto probabile che può realizzarsi nel presente o nel futuro. La sua struttura è flessibile e ammette diverse combinazioni di tempi verbali.

Le combinazioni più comuni sono: 

• Se + indicativo presente + indicativo presente: Usato quando l'ipotesi e la conseguenza sono entrambe reali e attuali.

  • Se piove, non vado al lago. 

• Se + indicativo presente + futuro semplice: Utilizzato per un'ipotesi realizzabile nel presente con una conseguenza futura.

  • Se vieni anche tu con noi, Anna sarà molto contenta.

• Se + futuro semplice + futuro semplice: Adatto quando sia l'ipotesi che la conseguenza sono collocate nel futuro.

  • Se pioverà, andrò al lago. 

• Se + indicativo presente + imperativo: Si usa per dare un ordine o un consiglio come conseguenza di un'ipotesi reale.

  • Se hai fame, mangia un panino.

 

2. Periodo ipotetico del secondo tipo: la possibilità

Il secondo tipo esprime un'ipotesi possibile ma difficile da realizzare o poco probabile nel presente. Può anche essere usato per esprimere un'ipotesi immaginaria o impossibile nel presente. 

La sua struttura grammaticale è rigida:

  • Se + congiuntivo imperfetto + condizionale presente.
  • Ipotesi possibile: Se avessi tempo, farei un corso di tedesco.
  • Ipotesi impossibile nel presente: Se fossi un animale, sarei un leone.

 

3. Periodo ipotetico del terzo tipo: l'irrealtà

Questo tipo si usa per descrivere un'ipotesi impossibile da realizzare perché si riferisce a un evento passato che non si è verificato e non può essere cambiato. Di conseguenza, anche l'azione nella frase principale è impossibile e non si è realizzata nel passato.

La sua struttura grammaticale è:

  • Se + congiuntivo trapassato + condizionale passato.
  • Se avessi fatto più attenzione, non avresti commesso tutti questi errori.
  • Se Sara fosse tornata a casa all'orario stabilito, i suoi genitori non si sarebbero arrabbiati


4. Il Periodo ipotetico misto

Esiste anche il periodo ipotetico misto, che è una variazione di quello del terzo tipo. Viene utilizzato quando l'ipotesi e la conseguenza si trovano in due tempi diversi.

Ci sono due combinazioni principali:

1. Ipotesi nel passato con conseguenza nel presente: Si usa quando un'ipotesi impossibile, riferita al passato, ha una conseguenza o un effetto nel presente.

  • Se + congiuntivo trapassato + condizionale presente.
  • Se non avessimo bevuto così tanto, non avremmo questo terribile mal di testa. 

 

2. Ipotesi nel presente con conseguenza nel passato: Si utilizza quando un'ipotesi sempre valida (quindi anche nel presente), ma irreale, ha avuto una conseguenza nel passato.

  • Se + congiuntivo imperfetto + condizionale composto.
  • Se fossi una persona più responsabile, non ti avrebbero licenziato.


 


domenica 14 settembre 2025

Fatto sta che

La locuzione "fatto sta che" ha un valore enfatico e rafforzativo: serve per esprimere un’opinione, una constatazione, un’affermazione o un giudizio in maniera più incisiva e decisa.


Si utilizza quando si vuole sottolineare un aspetto importante che non può essere ignorato.

È simile a "il fatto è che":

  •  "il fatto è che" introduce di solito una spiegazione, mettendo in evidenza il motivo di ciò che si afferma;
  • "fatto sta che", invece, mette l’accento su un dato di realtà che non si può negare o fingere di non vedere.


In un contesto di discussione, dunque, "fatto sta che" evidenzia un punto fermo, un nodo essenziale che chiude o rafforza il discorso.

Molto vicina è anche l’espressione "sta di fatto che", del tutto equivalente, sebbene leggermente più formale rispetto a "fatto sta che".



Esempi d’uso:

  1. Papà, è vero che ingegneria aerospaziale è una facoltà prestigiosa, ma fatto sta che a me non piace e non voglio iscrivermi. 
    (Il figlio sottolinea una realtà soggettiva che non può essere aggirata.)

  2. Sembra un bravo ragazzo, ma fatto sta che lo hanno già arrestato tre volte. 
    (Si mette in risalto una verità scomoda che contrasta con le apparenze.)

  3. Anna va in palestra e segue una dieta, sta di fatto che non ha perso un grammo. 
    (Qui si sottolinea una constatazione che contraddice le aspettative.)

  4. Piero continua a chiedere scusa, fatto sta che ha commesso un errore imperdonabile. 
    (Qui, l’espressione rafforza la constatazione della gravità dell’errore.) 


mercoledì 4 giugno 2025

Imperfetto e passato prossimo

DIFFERENZE TRA IMPERFETTO E PASSATO PROSSIMO


Quando si usa l'IMPERFETTO?

  1. Per parlare di azioni abituali, ripetute o che durano nel tempo.

  2. Per descrivere due o più azioni che succedono insieme.

  3. Per descrivere una situazione o un’azione lunga che viene interrotta da un’altra azione più breve.


Esempi:

  • Leggevo sempre prima di dormire. (azione abituale)

  • Giocavamo a calcio ogni pomeriggio. (azione ripetuta)

  • Da bambino mangiavo tanti dolci.

  • Ogni estate andavamo in montagna.

  • Ieri pomeriggio mentre studiavo, ascoltavo musica e sognavo le vacanze. (azioni nello stesso momento)

  • Mentre scrivevo la lettera, parlavo al telefono e sorseggiavo un caffè.

  • Mentre cucinavo, guardavo la TV.

  • Guardavo la TV, quando è suonato il telefono. (azione lunga + azione breve)

  • Passeggiavo nel parco, quando ho incontrato un vecchio amico.

  • Dormivo, quando qualcuno ha bussato alla porta.



Quando si usa il PASSATO PROSSIMO?

  1. Per parlare di azioni finite, già concluse.

  2. Per raccontare azioni che succedono una dopo l’altra.

  3. Per indicare l’azione breve che interrompe un’azione più lunga.


Esempi:

  • Ho letto quel libro la scorsa settimana. (azione finita)

  • Siamo andati al mare per un giorno

  • Ho mangiato una pizza ieri sera.

  • Abbiamo visitato Roma l’anno scorso.

  • Stamattina mi sono svegliato, mi sono lavato, e sono uscito(azioni in sequenza)

  • Ho cucinato, poi ho apparecchiato e infine ho cenato.

  • Ho fatto colazione, ho preso l’autobus e sono arrivato a scuola.

  • Stavo leggendo, quando è entrato mio fratello. (azione lunga + azione breve)

  • Correvo nel parco, quando ho sentito un forte rumore.

  • Guardavo un film, quando il telefono ha squillato.


 

In sintesi:

  1. Usiamo l’imperfetto per descrivere abitudini, situazioni e azioni lunghe.

  2. Usiamo il passato prossimo per parlare di azioni finite, una dopo l’altra, o per l’azione breve che interrompe una situazione.

lunedì 2 giugno 2025

La pronuncia corretta della “e” e della “o” in italiano

1. Accento su “e” e “o” (non sull’ultima sillaba)


Quando l’accento cade sulla “e” o sulla “o” e non si trova sull’ultima sillaba della parola, nella maggior parte dei casi queste vocali si pronunciano chiuse. Ad esempio, si dice:

  • méla
  • dóccia
  • sénno
  • móndo

Tuttavia, esistono delle eccezioni, come nelle parole: 

  • gèlo
  • bène
  • gònna


2. Parole tronche che finiscono in “e”

Nelle parole tronche (cioè con accento sull’ultima sillaba) che terminano con “e”, la vocale si pronuncia quasi sempre chiusa. Per esempio:

  •  tré
  •  mé, té, sé (pronomi)
  •  tutti i derivati di “che” (come perché, poiché, affinché…)

Anche qui ci sono eccezioni, come: caffè, tè (la bevanda), karkadè, bèh e, in generale, le esclamazioni.
 

3. Il dittongo “ie”

Nel dittongo “ie”, la “e” è quasi sempre aperta. Si pronuncia:

  • cièlo
  • mièle
  • pièno

Fanno eccezione le parole che terminano in -ietto, -ietta, -iezza, dove la “e” è chiusa: bigliétto, magliétta, ampiézza.


4. Participi presenti

Nei participi presenti, la “e” si pronuncia sempre aperta: 

  • presidènte
  • solvènte
  • gerènte
  • potènte 

 

5. Pronuncia di “e” e “o” in base ai suffissi

A seconda del suffisso della parola, si può stabilire se la “e” e la “o” vadano pronunciate aperte o chiuse:

    La “e” è aperta se la parola termina con:
    -ela, -elo, -endo, -enno, -ene, -ente, -enza, -erno, -ero, -errimo, -esimo, -estre, -evolo, -iera, -iere

    La “e” è chiusa se la parola termina con:
    -ecchio, -eccio, -efice, -eggio, -esco, -esimo, -essa, -eto, -etto, -evole, -ezza, -mente, -mento

    La “o” è aperta se la parola termina con:
    -occhio, -occio, -olo, -orio, -osi, -ota, -otico, -otto, -ozzo

    La “o” è chiusa se la parola termina con:
    -oio, -one, -oni, -ore, -oso

martedì 1 aprile 2025

Aggettivi + "da"

 

 Aggettivi che richiedono la preposizione DA

alieno da
differente da
dissimile da
diverso da
esente da
immune da
indipendente da
libero da
lontano da
reduce da



Esempi di uso:

  • Sono ALIENO DA ogni interesse in questa questione.
  • Questo vino è DIFFERENTE DA quello che abbiamo assaggiato ieri.
  • Il tuo stile è completamente DISSIMILE DA quello di tuo fratello.
  • Il risultato è DIVERSO DA quello che mi aspettavo.
  • Il documento deve essere ESENTE DA errori grammaticali.
  • Il vaccino lo ha reso IMMUNE DA quella malattia.
  • La decisione deve essere INDIPENDENTE DA influenze esterne.
  • Ora mi sento finalmente LIBERO DA ogni preoccupazione.
  • Preferisco stare LONTANO DA ogni tipo di conflitto.
  • Sono REDUCE DA un pranzo di famiglia.

venerdì 14 marzo 2025

Usi idiomatici della particella NE


 

Andarsene Andare via. Io non resto più qui: me ne vado.

Averne fin sopra i capelli (Non poterne più, averne abbastanza) Essere estremamente stanchi, irritati o frustrati da una situazione o da una persona, al punto di non poter più sopportare.  Carla mi ruba sempre i soldi! Ne ho fin sopra i capelli, deve smetterla!

Farne di tutti i colori (Farne di cotte e di crude) Comportarsi in modo sregolato, combinare guai o pasticci di ogni genere, spesso con un'accezione che può essere sia negativa (azioni disordinate o problematiche) sia scherzosa (vivacità o esuberanza).  Durante la festa, i bambini ne hanno fatte di tutti i colori: hanno rovesciato il succo, rotto un vaso e colorato i muri!

Valerne la pena Si usa per esprimere che il risultato o il beneficio derivante da un'azione giustifica l'impegno necessario. È stato un viaggio lungo e faticoso, ma ne è valsa la pena: il panorama era mozzafiato.

Venirne fuori Riuscire a superare una situazione difficile, complicata o problematica, trovando una soluzione o liberandosi da un ostacolo. Dopo la fine della relazione, ci ha messo un po' di tempo, ma è riuscito a venirne fuori e tornare a sorridere.

Che ne è di…? Dov’è questa persona? Puoi darmi delle informazioni?

Andarne di (del tuo lavoro, dei tuoi affari, della tua salute, della tua reputazione…). Essere in pericolo, essere in gioco. Non prendere questa situazione alla leggera, ne va della tua reputazione.

Non volermene (volercene)  In frasi negative, serbare rancore, provare risentimento verso qualcuno.  Non volevo offenderti, spero che tu non me ne voglia.

Usi idiomatici della particella CI

 

Crederci Avere fiducia o convinzione in qualcosa o qualcuno. Devi crederci se vuoi raggiungere i tuoi obiettivi.
Essere sorpresi o increduli (spesso usato in senso negativo): Non ci posso credere, ha vinto la lotteria!

Metterci Impiegare tempo, impegno o aggiungere qualcosa. Quanto tempo ci metti per finire il lavoro?

Pensarci
Riflettere su qualcosa od occuparsi di una situazione. Ci penso io a risolvere il problema.

Prenderci gusto
Cominciare a provare piacere nel fare qualcosa. Prima non mi piaceva studiare il tedesco, ma ora ci ho preso gusto.
 
Saperci fare Essere abili in qualcosa, soprattutto nei rapporti sociali o pratici. Non sono bravo con le piante, ma tu ci sai fare davvero. 

Sentirci
  Riferito alla capacità uditiva. Non ci sento bene da un orecchio.

Tenerci Dare importanza o affetto a qualcosa o qualcuno. Lei ci tiene a mantenere buoni rapporti con tutti. 

Vederci
Riferito alla capacità visiva. Non ci vedo bene senza occhiali.
 
Volerci Indica ciò che è necessario per qualcosa. Per fare una buona pizza ci vogliono ingredienti freschi.

Avercela Essere arrabbiati o risentiti verso qualcuno. Ce l’hai ancora con me per quello che ho detto?

Farcela Riuscire a compiere qualcosa con successo. Ce la farai sicuramente se ti impegni.

Mettercela tutta Impegnarsi al massimo per ottenere un risultato. Se vuoi superare l'esame, devi mettercela tutta!

 

mercoledì 12 marzo 2025

Congiunzioni che richiedono l'uso del congiuntivo

 


Le congiunzioni italiane che richiedono l'uso del verbo al congiuntivo sono principalmente quelle che introducono situazioni di dubbio, ipotesi, desiderio, emozione, concessione o condizione.

Ecco un elenco delle principali congiunzioni che reggono il congiuntivo:

AFFINCHÉ, PERCHÉ:

Ho scritto una guida dettagliata affinché nessuno commetta errori.
Ho alzato la voce perché tutti mi sentissero chiaramente.


BENCHÉ, SEBBENE, MALGRADO, NONOSTANTE, PER QUANTO:
Benché fuori piova, ho deciso di uscire a fare una passeggiata.
Sebbene non avessimo fame, abbiamo preso un dolce al bar.
Malgrado ci fosse traffico, siamo arrivati in orario al cinema.
Nonostante avessi paura, ho accettato di provare l'arrampicata.
Per quanto tu faccia, non sarà sufficiente.


PURCHÉ, A CONDIZIONE CHE, A PATTO CHE, QUALORA, NEL CASO CHE, NEL CASO IN CUI:
Andremo al parco, purché smetta di piovere.
Ti presto la mia bici, a condizione che tu me la restituisca entro domani.
Ognuno è libero di agire, purché rispetti la libertà altrui.
Qualora tu avessi bisogno, chiamami.
Porta una giacca pesante nel caso che faccia freddo questa sera.
Ti scrivo un messaggio nel caso in cui non riesca a trovarti al bar.


SENZA CHE, COME SE:
Sono uscita di casa senza che i miei genitori se ne accorgessero.
Parla come se sapesse tutto.


PRIMA CHE:
Sistemiamo tutto prima che gli ospiti arrivino.