L’indicativo passato remoto descrive uno stato/fatto anteriore al momento dell’enunciazione, privo di relazione diretta con esso, e presentato come “compiuto”. L’aggettivo “remoto” va dunque inteso nel senso di “separato, concluso” e non, come spesso erroneamente accade, di “lontano nel tempo”.
Per quanto detto, il passato remoto è il tempo perfettivo per eccellenza, e da sempre viene utilizzato in ogni tipo di narrazione:
Su questo campo due giorni fa segnai una tripletta.
Il capo ripartizione si stupì di trovare la pratica in archivio.
La guerra dei Sette Anni ebbe termine nel 1763.
Su questo campo due giorni fa segnai una tripletta.
Il capo ripartizione si stupì di trovare la pratica in archivio.
La guerra dei Sette Anni ebbe termine nel 1763.
Il passato remoto è tuttora normalmente usato nella lingua letteraria e scritta. È noto invece che, nel parlato, l’uso di questo tempo varia considerevolmente a seconda delle aree geografiche: mentre esso si mantiene vitale tanto al Centro quanto al sud, nel Nord è stato quasi completamente sostituito dal passato prossimo (come è avvenuto nel francese), e sopravvive solo in contesti colti o formali simili, di fatto, alla comunicazione scritta.
Istruzioni per l’uso
Dovendo scegliere tra passato remoto e presente storico, quale dei due è preferibile? Premesso che dal punto di vista grammaticale si tratta di forme equivalenti, il problema si limita allo stile. Mentre il passato remoto è stilisticamente neutro, con il presente storico s’intende dare al racconto un senso di maggiore partecipazione. Questo vale in contesti colloquiali ma non solo: per esempio, il professore di greco che, spiegando la guerra del Peloponneso, dica: A questo punto, Alcibiade non ha scelta: per lui v’è solo la via dell’esule, finge una conoscenza diretta di fatti che rivive nel momento stesso in cui li racconta.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.